Libri – La Pietra del Cielo

Roman british castle HR con logo

La pietra del cielo è il primo romanzo del ciclo “Le cronache di Avalon”, di Jack Whyte, che racconta il mito arturiano a partire dalle sue origini romane. Pubblicato nel 1996 e ambientato nella Britannia romana del IV secolo d.C., questo volume racconta la storia di Gaio Publio Varro, centurione romano di valore che, dopo molti anni nell’esercito romano in Britannia, riprende in mano la fonderia del nonno, il quale gli ha lasciato un pugnale speciale fatto con una pietra “caduta dal cielo” molto tempo prima. Il metallo da essa estratto è speciale e diverso da qualunque altro visto prima. Varro è determinato a trovare altre pietre dal cielo ma nel frattempo conduce i suoi affari, che vanno bene, finché in un viaggio non si scontra con un romano molto facoltoso e di famiglia molto potente, sfregiandolo malamente. È quindi costretto a fuggire e si rifugia in una zona della Britannia posseduta dal suo ex comandante e ora amico Gaio Britannico, un aristocratico romano anch’egli nato e cresciuto in Britannia. In quel luogo avrà la possibilità di conoscere bene i druidi e i celti, di farsi una famiglia e di ritrovare la pietra del cielo, che chiaramente si capisce verrà poi usata per forgiare Excalibur. Sullo sfondo, lo spettro della caduta dell’impero romano che naturalmente avrà un effetto domino su tutte le popolazioni delle sue colonie.

Chi ama la leggenda arturiana non può non leggere questo ciclo di romanzi. Lo stile è abbastanza commerciale, ma i dettagli, i riferimenti storici, le descrizioni delle battaglie e i personaggi sono eccellenti. Non ci sono parti morte o noiose, sembra di essere lì, nel bel mezzo della storia, e ci si affeziona subito ai protagonisti. Incredibili inoltre le similitudini tra la caduta dell’impero romano e il crollo della nostra società odierna: non è raro trovare nella narrativa messaggi molto più significativi di quelli che si possono leggere nei saggi o nei libri di storia, se si legge a più livelli e non ci si ferma solo alla superficie.

Alcune citazioni:

«Sono persone semplici e coraggiose che hanno deciso che non potevano più continuare a vivere sotto le regole dell'Impero.» […] Immagina tasse paralizzanti, leggi ingiuste e utili solo a se stesse, inflazione costante, regole restrittive che governano le loro vite e costante interferenza del governo.» […] «Se ne andarono, fuori dall'Impero. Via dalle loro case, dai loro affari, dal loro impiego. Via dalle tasse e dai doveri e dagli impegni. Se ne andarono sulle colline e nelle foreste e si rifiutarono di tornare indietro. Costruirono delle capanne e vissero di quello che potevano coltivare e cacciare da soli.» […] «È cominciato come un rigagnolo alla fine del III secolo ed è diventato un torrente. Adesso siamo alla fine del IV secolo e il torrente scorre ancora. Da oltre cento anni ormai questi Bagaudi non pagano tasse, non ubbidiscono a leggi romane e non risparmiano la vita dei soldati romani che li braccano. La maggior parte di loro vive in comunità in grandi fattorie e insediamenti. Ogni uomo contribuisce alla vita della comunità con le sue capacità e abilità. Non usano denaro, ma il baratto. E tra di loro ci sono medici, magistrati, architetti, avvocati, amministratori e un gran numero di soldati di professione.» «È incredibile» dissi. «E l'Impero non fa niente?» Allargò le mani in un gesto molto celtico. «Cosa può fare l'Impero? Gli amministratori temono che la storia si diffonda. La politica ufficiale è non fare niente che attragga l'attenzione sul problema. Lo si ignora, nella speranza che finisca da solo. Roma lascia i Bagaudi in pace, perché fare diversamente provocherebbe un furore che potrebbe riempire l'Impero di Bagaudi.»

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«C'è una malattia che colpisce tutto l'Impero. Il marciume è ovunque. La ribellione è ovunque: nessuna disciplina, nessun ordine, nessuna struttura di qualche rilevanza. Ci sono più mercenari barbari nell'esercito di quanti ce ne siano mai stati prima, anche se ognuno di loro si definisce oggi cittadino romano. Tu sai come la penso in proposito, ma sono le strutture che mancano, Varro. I fondamenti. Non ci sono più modelli. Nessun simbolo di rispettabilità con cui i giovani del mondo romano possano identificarsi. Nessun valore accettabile per fede su cui basarsi. L'intero mondo sta crollando nel caos.»

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«In altri termini, amici, l'Impero non commercia più e voi sapete cosa questo voglia dire.» Plauto, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, batteva le palpebre perplesso, con una profonda ruga di preoccupazione in mezzo alla fronte. «Io non lo so. Cosa vuol dire?» Firma lo guardò dritto negli occhi. «Significa dissoluzione, amico, dapprima graduale: una netta, progressiva disintegrazione. Il collasso. La fine.» Il povero Plauto era confuso. «Ma la fine di cosa, in nome di Dio?» Firma sbuffò con disgusto. «Di tutto! La fine della catena di forniture che nutre e veste il popolo di Roma. La fine della rete commerciale che impedisce all'Impero di disfarsi. La fine dello status quo. La fine del dominio di Roma. Devo proseguire? Gaio, qui presente, lo prevede da anni e noi abbiamo riso di lui, chiamandolo un allarmista.» «Ma cosa fa il governo?» La voce era quella di Quinto Varo. «Non possono fare qualcosa per aiutarvi?» Il sopracciglio alzato di Terra denotava sarcasmo. «Oh, sì, certo. Il governo. Parlano molto di aiutarci. Per prima cosa stanno gentilmente permettendoci di rimanere operativi -completamente -completamente operativi e completamente responsabili - a dispetto del fatto che noi abbiamo scelto di chiudere. Il governo ci ha ordinato di continuare a commerciare, di continuare a perdere i nostri investimenti, e minaccia di prendere e confiscare tutte le nostre proprietà se ci rifiutiamo di obbedire.» Un silenzio perplesso accolse quella affermazione. «Una settimana prima che partissimo diretti qui,» continuò, «abbiamo saputo da un amico fidato che un distaccamento militare era in cammino per venire a farci visita, “per aiutarci a proteggere i nostri interessi”. Abbiamo liquidato i nostri affari come meglio abbiamo potuto in una settimana, raccolto tutti i beni che potevamo, svuotato le nostre cantine, firmato un trasferimento legale della nostra flotta al governo imperiale e lasciato la città prima che i militari arrivassero. Tutto quello che non abbiamo potuto vendere o portare con noi è stato confiscato come punizione per il nostro crimine di inadempienza. Ormai siamo dei fuorilegge, dei fuggiaschi.»

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«Tutta questa conversazione è tradimento, Gaio. Secondo quelle larve a Roma e a Londinium, Terra e Firma commettono tradimento rifiutando di finire in bancarotta, buttando moneta buona contro moneta cattiva. Rifiutando di distruggere se stessi per dare un'illusione di normalità a ladri senza volto che vivono nel terrore del popolo, un popolo che vuole tutto senza dare niente. Perché pensate, voialtri, che l'imperatore e la sua corte vivano a Costantinopoli? Hanno deciso molto tempo fa che non volevano avere niente a che fare con Roma e i suoi cittadini, sudati, malvagi, puzzolenti. Pensateci!» Guardò sdegnato i volti che lo guardavano, come se avesse voluto sfidarci tutti a contraddirlo. «Secondo quelle larve, nessuno di noi che siamo qui intorno al fuoco ha il diritto di vivere. Esistiamo solo per il loro vantaggio. E il loro piacere. Che schifo! Mi viene voglia di sputare se penso che una volta SPQR, il simbolo del Senato e del Popolo di Roma, era il più grande simbolo di libertà e dei diritti degli uomini liberi di tutta la storia! Il popolo di Roma è una mandria di animali assassini e carnivori e il Senato è un eunuco. Se è tradimento rifiutarsi di sacrificare tutto quello che riteniamo nobile alle mascelle rammollite della popolazione romana, allora sono un traditore!»

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«Quello che stiamo facendo ora non è solo parlare di sopravvivenza. La stiamo pianificando! Tutto questo è reale. Stiamo parlando della fine del mondo che conosciamo. Noi crediamo, ognuno di noi crede, che ci piaccia o no, che la fine verrà, e che quando questo succederà, quando cadrà l'Impero, niente di quello che conosciamo sarà più lo stesso.»

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«L'intero mondo cadrà nel caos quando Roma cadrà e il pericolo maggiore oggi è la tentazione di credere che questo non possa accadere, che non accadrà. Credetemi, amici, i soli che sopravviveranno al disastro saranno quelli che si saranno preparati. Allestendo le difese. Accumulando riserve di cibo. Pianificando la continuazione e la strutturazione della propria esistenza prima del caos.»

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